STORIE BANCARIe   
DI MOSHE KATZ
Fondatore e Capo Istruttore di ISRAELI KRAV INTERNATIONAL.
Tradotto in Italiano da Amarda Haxhiu


27 SETTEMBRE 2020


Mi è stato chiesto dagli amici di condividere questa storia. 


Era l'anno 1989, vivevo a Brooklyn, New York. Ero giovane e pieno d'energia. La mia mattina iniziava con la preghiera alla Modzitz Shtiebel (piccola sinagoga), poi la lezione mattutina al dojo Oyama Kyokushin, poi un'intera giornata di lavoro e dopo, il college o la lezione di karate ancora. La mia giornata cominciava alle 5 del mattino e si concludeva intorno a mezzanotte. 

Lavoravo in banca, era una banca israeliana e il mio obiettivo era prepararmi per la futura vita in Israele. I seguenti eventi presero luogo solo pochi mesi prima del mio ritorno in Israele.

Un uomo robusto entrò in banca. Sembrava un senzatetto, puzzava come non ho mai sentito prima, nessuno voleva avere a che fare con lui. Doveva essere scortato fuori dalla banca, invece, gli chiesi di sedersi. Ricordo che era molto difficile sopportare l'odore, ma sapevo che era la cosa giusta da fare. La nostra gente, gli ebrei, hanno sicuramente conosciuto tempi molto difficili, non possiamo giudicare un altro essere umano dalla sua situazione attuale. Dobbiamo ascoltare e capire che succede. 

Posso ancora immaginarlo seduto alla mia scrivania, l'immagine è ancora nitida. Iniziò la sua storia e mi raccontò come per anni sarebbe stato il fedele autista e l'aiutante di una donna anziana. Quando lei morì, lui attraversò momenti difficili e, alla fine, fu ricoverato in un istituto psichiatrico. Era stato rilasciato dall'istituto di recente.

La donna gli aveva lasciato un'eredità, in mano teneva un assegno di circa 27.000 dollari, ma la banca non voleva aprire un conto per lui. Mi spiegò di aver perso tutto, compreso il documento d'identità e mi mostrò una carta d'identità parzialmente strappata, quella di un supermercato, un documento d'identità difficilmente accettabile. L'assegno in sé era problematico, ricordo che era fuori stato, doppiamente approvato, non sono più sicuro dei dettagli, ma non era qualcosa di cui la banca voleva occuparsi. Fu rifiutato. 

Ma io, lottai per lui, con tutto quello che avevo. Ero solo un giovane impiegato bancario di basso livello, però, in qualche modo, finalmente, ci riuscii. A una condizione: Dovevo assumermi la piena responsabilità. Il rischio, la scommessa, era tutta su di me. Se l'assegno non si risolveva, dovevo coprirlo io. Era più del mio stipendio annuale a quei tempi, comunque, accettai la scommessa.

L'assegno fu risolto, l'uomo diventò un cliente della banca ed ero sempre io a trattare con lui quando entrava. Era un mio cliente, oramai. Non avevo molti clienti per i quali mi assumevo la piena responsabilità. Ne ricordo un'altra, sì, una donna ebrea più anziana. Stava bene, entrava, mi parlava a lungo in Yiddish e depositava dei soldi. Di quei tempi non parlavo Yiddish, ma ascoltavo attentamente, annuivo e dicevo "Ja Ja", e lei era felice così.

Questo tipo robusto della prima storia credo si chiamasse Shapiro, era anche lui un ebreo, ma questo dettaglio non faceva differenza per me. Era un nebech come si dice in Yiddish, un mieskeit, un unglick, in poche parole: un uomo sfortunato. Mi sentivo felice di aiutarlo.

Pochi mesi dopo lasciai la banca. Mancava un mese al mio ritorno in Israele e volevo dedicare il mio ultimo mese negli Stati Uniti al volontariato. Mentre si avvicinava la mia partenza, mi fermai alla banca dove lavoravo per fare gli ultimi saluti. Con una voce addolorata, uno dei membri più severi del personale della banca, mi ringraziò per aver combattuto per il signor Shapiro e mi disse: "Il signor Shapiro è morto di recente, non sapevamo che soffriva di una malattia terminale, ti siamo grati che a causa della tua ostinata lotta per lui, potette vivere con dignità gli ultimi mesi della sua vita ".

E così è stato. Posso ancora vederlo seduto alla mia scrivania, possa lui riposare in pace.



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